“Che niente ci limiti. Che niente ci definisca. Che niente ci reprima. Che la libertà sia la nostra essenza.” Con queste parole, Simone de Beauvoir invita a riflettere su un principio fondamentale: la libertà e il rispetto di ogni donna non sono negoziabili o violabili. Tuttavia, ogni giorno, questa libertà viene calpestata dalla piaga della violenza di genere, una realtà che si insinua nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle strade, dappertutto. Una realtà alimentata da stereotipi, silenzi e una cultura della violenza che troppo spesso minimizza o giustifica. Supportata da una vera e propria omertà.
Rosa, Maria, Delia, Ester, Annalisa, Lorena, Francesca. Questi sono solo alcuni dei nomi delle donne che nel 2024 hanno perso la vita per mano di uomini violenti. E dietro ogni nome c’era una storia, una voce che è stata soffocata, una famiglia che è stata distrutta. Un figlio che non potrà più chiamare “mamma”, una mamma che non potrà più riabbracciare sua figlia, un’amica con cui non si potrà sorriderà più. E impariamo ogni giorno come la violenza di genere non ha confini: colpisce ogni donna, indipendentemente da età, cultura, classe sociale o religione. Non esiste un profilo unico né per la vittima né per l’aggressore. E questi nomi non sono solo statiche, non devono rimanere solo tali, perché dietro ogni uomo che uccide o maltratta una donna, c’è una società che fallisce, che non ascolta i segnali, che non fa mai abbastanza e soprattutto una società che non permette alle vittime di denunciare e sentirsi sicure nel farlo. E fin quando le donne non si sentiranno al sicuro nel denunciare il proprio aggressore, come possiamo aspettarci che un uomo non si senta libero di continuare a picchiare, maltrattare, uccidere? Si sente ripetere all’infinito“non siete sole”, ma la triste realtà è che è proprio così che la maggior parte delle donne si sentono ogni giorno: sole. A lavoro, all’università, sui mezzi pubblici e, troppo spesso, anche tra le mura di casa.
È proprio a causa di ciò, essere consapevoli che la violenza può assumere molte forme è fondamentale, perché spesso può non essere palese, come uno schiaffo, e le stesse vittime non si rendono conto di esserlo. Imparare a riconoscere i vari tipi di violenza può salvare una vita, che sia verbale, psicologica, economica, e trovare la forza di dire basta al primo accenno. Solo così potremo spezzare davvero il silenzio che alimenta la paura e che permette agli aggressori di sentirsi impuniti.
E una delle forme di violenza troppo spesso sottovalutata è la violenza psicologica, devastante proprio perché invisibile: umiliazioni, denigrazioni, minacce e isolamento sono tra le sue armi più comuni. È un tipo di abuso che tende a rimanere nascosto, nonostante rappresenti una delle forme di controllo più distruttive della manipolazione. Si manifesta sopratutto attraverso una comunicazione che mira alla sottomissione mentale della vittima. Inizia con commenti denigratori, atteggiamenti passivo – aggressivi, ricatti emotivi, disinteresse e limitazione della privacy. L’aggressività è spesso sottile, espressa con silenzi ostili, sguardi di disprezzo. Questa forma di violenza può portare facilmente al gaslighting, una manipolazione che spinge la vittima a dubitare delle proprie percezioni e della propria sanità mentale, facendola sentire confusa e insicura. Riconoscere questo tipo di abuso è difficile, perché paralizza emotivamente la vittima, portandola spesso a giustificare i comportamenti dell’aggressore. La sofferenza causata dalla violenza psicologica erode progressivamente la fiducia e l’autostima della vittima, con effetti devastanti nel lungo termine. Per questo è cruciale individuare i primi segnali di questa sottomissione, in modo da poter intervenire tempestivamente.
Ma la violenza psicologica è solo un esempio di tutte quelle forme di violenza più sottili e sottovalutate e la necessità di riconoscere i segnali di questa sottomissione si inserisce in un impegno più ampio e profondo, con un’azione costante che coinvolga ed educhi tutta la società.
La lotta contro la violenza di genere non può ridursi a slogan o gesti simbolici, né tantomeno essere confinata a singole giornate di sensibilizzazione. Deve essere un impegno quotidiano che richiede coraggio collettivo e la capacità di ascoltare senza giudicare. Condannare i singoli episodi non basta più se non si affronta il problema dalle sue radici, smantellando una struttura sociale e culturale che ancora tollerano tale violenza.
Spezziamo il silenzio, attraverso una cultura di consapevolezza e rispetto, affinché le donne possano non sentirsi sole per davvero.
Realizzato da Eleonora Gargano.
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